Adesso, ad esempio, è facile dire le automobili, e pensare che sia nato tutto così, d’un colpo. Ma il fratello di suo padre non aveva lavorato la terra, e prima di lui, la donna che lo aveva generato se ne era scappata con un prestigiatore che ancora tutti ricordavano perché aveva portato in paese la prima bicicletta.
Alle volte non facciamo altro che finire lavori lasciati a metà.
E iniziare lavori che altri finiranno per noi.
Lo diceva continuando a camminare, anche se ormai da un po’ aveva smesso di capire dove stava andando. Portato dai suoi passi involontari aveva preso a girare intorno a un isolato, perché una forma di inerzia prudente, forse generata dalla nebbia, l’aveva inclinato a rifiutare, a un certo punto, l’attraversamento della strada. Così, senza neanche accorgersene, aveva girato a sinistra, seguendo la sponda dei palazzi, e da lì, continuando a girare a sinistra, era come se avesse trovato una sua corsia, un riparo per le sue parole. Quando finirono il primo giro, Ultimo si ritrovò davanti a una vetrina che aveva già visto, e che mai si sarebbe aspettato di rivedere in vita sua. Ne rimase stupefatto.
Avevano camminato senza pensare, come fanno quelli che si perdono: ma la città li aveva riportati lì, come un cane pastore. Mentre suo padre tirava diritto, continuando a recitare il rosario del sangue e della terra, lui, seguendolo, cercò di capire cosa, precisamente, era successo, e perché un’inezia del genere lo aveva turbato.
Forse era la nebbia, o le storie di suo padre, ma gli venne da pensare che se avessero proseguito così, per ore, alla fine sarebbero scomparsi. Sarebbero stati deglutiti dai loro passi. Perché di solito camminare è sommare dei passi, ma quello che loro due stavano facendo, lì, era sottrarli, in un calcolo esatto che periodicamente riportava a zero.
Pensò alla purezza, indiscutibile, di quel cammino alla rovescia. E per la prima volta, seppur in modo confuso, intuì che ogni movimento tende all’immobilità, e che bello è solo l’andare che conduce a se stesso.