mercoledì 21 novembre 2007

A ciascuno il suo spirito

Stasera in farmacia oltre all’aspirina effervescente ho preso una rivista: “SAPERE & SALUTE”. Mi ha attirato il titolo in copertina: “Psiche, l’umorismo che guarisce” e qui voglio riportare una parte dell'articolo che poi sono andata a leggere :)

Da qualche tempo l’allegria gode di un’inedita popolarità. A dispetto delle inquietudini della vita quotidiana e delle incertezze globali – o forse proprio a causa di queste – ridere è diventato di moda. Anzi, è diventato una cosa seria.

L’iralità è assurta non soltanto a patrimonio culturale di tutto rispetto, ma anche ad argomento di interesse scienfico: al progressivo aumento dell’offerta mediatica di materiale comico (format televisivi, spettacoli teatrali, film, libri) si è affiancato il proliferare di studi empirici sullo humour e sul riso in ambito psicologico, sociologico e medico.

Le prime disquisizioni filosofiche sul ruolo del comico risalgono a Platone.

Per secoli, del riso e della comicità è prevalsa un’immagine negativa, che li connotava come manifestazione di immaturità e scarsa levatura morale o come condotte socialmente pericolose. Peraltro, non sfuggiva anche allora una delle proprietà oggi più apprezzate dell’umorismo: quella di eludere le convenzioni e le gerarchie, di mostrare i risvolti meno decorosi della realtà costituita o, semplicemente, offrire una visione sdrammatizzata del mondo.

Oggi la facezia non è più sconveniente, è un segno di intelligenza ed è socialmente approvata, talvolta anche per la sua trasgressività e per la sua capacità di facilitare i rapporti interpersonali. La risata è ammessa, anzi ricercata, anzi vivamente consigliata. Per alleggerire la vita, certo.

Per risollevare l’umore, naturalmente. Ma anche per mantenersi in salute.

L’interesse dell’ambiente medico per gli effetti del divertimento è una novità degli ultimi vent’anni. I più convinti fautori hanno istituito in molti Paesi – dagli Usa al Sud Africa, dalla Germania alla Nuova Zelanda – associazioni che offrono le più svariate forme di comicoterapia.

E una cosa curiosa :)

A ciascuno il suo spirito

Due recenti indagini psicologiche (condotte rispettivamente dallo psicobiologo Robert Provine negli Stati Uniti e dalla psicologa Donata Francescano in Italia) sul rapporto che le persone hanno con l’umorismo e il riso hanno evidenziato diverse tipologie di “cuorcontenti”.

A grandi linee:

- gli uomini sono più spesso produttori di umorismo, cioè fanno ridere, e prediligono la comicità dei film o delle barzellette;

- le donne sono più spesso fruitrici di umorismo, cioè ridono, e preferiscono la comicità insita negli eventi della vita di tutti i giorni;

- gli estroversi apprezzano maggiormente la comicità immediata delle battute semplici;

- gli introversi prediligono l’umorismo di tipo “intellettuale” dei giochi di parole e dei nonsense o lo humour nero;

- le persone emotivamente instabili apprezzano un umorismo più dirompente e grintoso e meno socializzante;

- gli individui con un’autostima elevata utilizzano disinvoltamente una vasta gamma di forme di umorismo e di stimoli comici;

- gli individui meno sicuri di sé si fanno forti di un umorismo maggiormente aggressivo.

:-)

da SAPERE & SALUTE – Bimestrale – Anno 12° ottobre 2007 n. 67 - articolo di Monica Oldani

venerdì 16 novembre 2007

Corpo pensante

Tutto ciò che avviene in noi, che sia esteriorizzato o interiorizzato, dipende dal sistema nervoso centrale. Il gesto informa il nostro cervello ed è al suo servizio. Il cervello comanda il gesto grazie agli stessi meccanismi nervosi con cui ci permette di pensare e di essere coscienti, meccanismi azionati dall’arrivo al cervello delle impressioni sensoriali. Un gesto nuovo utilizza comandi nervosi nuovi.

Analogamente, ogni aspetto della vita mentale, del comportamento, degli atteggiamenti, dei sentimenti, dei gusti, ha la sua ragion d’essere nelle strutture nervose.

È impensabile esistere come essere umano senza il corpo umano.
«L’uomo è un corpo pensante» dice il dott. Paul Chauchard e «può trovare l’equilibrio solo in armonia con un corpo felice».

I meccanismi che ci permettono di pensare e di essere coscienti entrano in gioco con l’arrivo al cervello delle impressioni sensoriali. Si può dire perciò che nell’intelligenza non vi è nulla che non venga dai sensi.

La lingua cinese illustra questa affermazione in modo sorprendente con l’ideogramma che significa intelligenza. È composto da due caratteri che rappresentano uno l’udito e l’altro la vista, rilevando l’aspetto sensoriale dell’intelligenza e l’importanza di primissimo piano dell’apporto somatico nella vita mentale.

da Tai Chi Chuan Armonia del corpo e dello Spirito – James Kou

mercoledì 14 novembre 2007

Lentamente muore

Cercavo un ideogramma cinese ed invece mi sono imbattuta in questa poesia di Pablo Neruda...

Lentamente muore
chi diventa schiavo dell’abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marcia,
chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.

Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce il nero su bianco
e i puntini sulle “i”
piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle
che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno
di uno sbadiglio un sorriso,
quelle che fanno battere il cuore
davanti all’errore e ai sentimenti.

Lentamente muore
chi non capovolge il tavolo,
chi è infelice sul lavoro,
chi non rischia la certezza
per l’incertezza per inseguire un sogno,
chi non si permette
almeno una volta nella vita
di fuggire ai consigli sensati.

Lentamente muore chi non viaggia,
chi non legge,
chi non ascolta musica,
chi non trova grazia in se stesso.

Muore lentamente
chi distrugge l’amor proprio,
chi non si lascia aiutare;
chi passa i giorni a lamentarsi
della propria sfortuna o
della pioggia incessante.

Lentamente muore
chi abbandona un progetto
prima di iniziarlo,
chi non fa domande
sugli argomenti che non conosce,
chi non risponde
quando gli chiedono
qualcosa che conosce.

Evitiamo la morte a piccole dosi,
ricordando sempre che essere vivo
richiede uno sforzo
di gran lunga maggiore
del semplice fatto di respirare.

Soltanto l’ardente pazienza porterà
al raggiungimento
di una splendida felicità.

venerdì 9 novembre 2007

...

Sentivo uno squarciarsi nella mente
come se il cervello fosse spaccato
cercai di riconnetterlo punto su punto
ma non riuscii a farli combaciare.

Il pensiero alle spalle, mi sforzavo di unire
al pensiero di fronte
ma la sequenza si sciolse senza suono
come gomitoli su un pavimento.

I felt a cleaving in my mind
as if my brain had split
I tried to match it seam by seam
but could not make them fit.

The thought behind, I strove to join
unto the thought before
but Sequence ravelled out of sound
like balls upon a floor.

Emily Dickinson

giovedì 1 novembre 2007

Diceva bene Platone...

Diceva bene Platone: “Al tocco dell’Amore chiunque diventa un poeta”. O un cinico.

Le persone si amano.

Amiamo le esperienze, i gruppi, gli eventi, amiamo idee astratte come la patria, una città o una causa.


Amiamo l’arte.
Amiamo la musica.

E amiamo le cose. Gli oggetti che facciamo, compriamo o scambiamo. Gli oggetti che ci dicono chi siamo e dove siamo.

In quasi tutto il mondo, ciò che possiedi dà significato alla tua vita. Ecco perché si compra, si scambia, si regala, si custodisce e si possiede.
Le cose con cui scegliamo di vivere non sono oggetti inerti.
Le rivestiamo con le nostre fantasie. Ci esprimiamo grazie ad esse.
Le trasformiamo in cose importanti per noi.

Scan Fitzpatrick ha giocato nella squadra neozelandese di rugby All Blacks per dodici anni.
È stato uno dei più grandi capitani che questo sport abbia mai avuto.

Ecco la sua spiegazione su qual è il ruolo dell’Amore in un gioco duro come il rugby.

“Far parte degli All Blacks vuol dire amare ciò che si fa. Vuol dire tenere l’uno all’altro. La squadra è una famiglia. Se ami il tuo compagno, sei disposto a prenderti cura di lui e a fare qualsiasi cosa per lui. È questa la bellezza del gioco di squadra. Ci sono quindici persone con un unico obiettivo in mente, anziché un insieme di obiettivi individuali. Un obiettivo collettivo. Lo scopo è riuscire. Lo scopo è vincere e fare di tutto per diventare giocatori migliori e persone migliori. E allo stesso tempo aiutare i compagni a essere giocatori migliori e persone migliori, proprio come se fossero fratelli o sorelle.”

da “il futuro oltre i brands, lovemarks - Kevin Roberts"